Negli ultimi anni le mode sembrano il sistema migliore per insegnare alla popolazione italiana come comportarsi a tavola, dimenticando che già negli anni sessanta i coniugi americani Keys dimostrarono a tutto il mondo, che nel bacino del mediterraneo ci fossero un insieme di abitudini alimentari e comportamentali da usare come modello per apportare benefici in temine di salute.

L’intensa attività fisica del contadino che tornando a casa si permetteva una cucina frugale, basata su pochi prodotti offerti dalla Natura, di cui probabilmente il poveretto si vergognava, era, in realtà, il punto di forza di tutti i paesi del bacino del mare nostrum.

Quella del contadino del meridione era la vera dieta mediterranea, poi nel corso dei decenni,  migliorando le condizioni socioeconomiche sono paradossalmente peggiorate quelle alimentari, e nonostante quello mediterraneo sia un modello alimentare che ha fatto scuola in tutto il mondo, oggi solo il 10% della popolazione italiana aderisce perfettamente alla dieta mediterranea, mentre il 23% non la segue affatto.

Non solo, spesso finisce con l’essere addirittura screditata e vengono acclamate diete low carb povere di carboidrati e molto ricche di proteine che permettono dimagrimenti rapidi ma non salutari a lungo termine.

E’necessario fare chiarezza ed illustrare cosa si intende veramente, quando si parla di questo tipo di dieta o meglio ancora stile di vita.

Non è mangiare tutti i giorni un piatto di pasta raffinata con un sugo al ragù, pane bianco, pizza e una bisteccha ai ferri con forse qualche contorno vicino, la dieta Mediterranea è ben altro.

Prevede l’uso giornaliero di: cereali integrali, legumi, notevoli quantità di vegetali, frutta fresca e secca, semi oleaginosi, olio d’oliva, pesce e raramente derivati animali in particolare carni bovine, insaccati e prodotti lattiero caseari.

Prima cosa su cui vale la pena riflettere è che le raccomandazioni del codice europeo contro il cancro coincidono sostanzialmente con la dieta mediterranea tradizionale.

Il codice europeo contro il cancro recita “consumati in abbondanza”, vuol dire che questi alimenti devono sostituire i prodotti di origine animale e quelli raffinati (carne, grassi, sale, zuccheri), formando la base dell’alimentazione giornaliera.

Nel 2010 l’Unesco ha iscritto la dieta mediterranea nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

La chiave di volta è scegliere con cura gli alimenti che mettiamo sulle nostre tavole, facendo sicuramente attenzione alla quantità, ma anche alla tipologia ed investendo soprattutto in  qualità.

Vediamo nel dettaglio quali sono questi componenti della dieta mediterranea salutare.

COSA SONO I CEREALI INTEGRALI?

E’ questo un primo punto da chiarire, in quanto l’industrializzazione e commercializzazione del cibo ci ha allontanato da tutta una serie di alimenti offerti dalla Natura.
I cereali integrali non sono i banali cornflakes del supermercato, ma una serie di chicchi con il loro guscio di rivestimento caduti in disuso, soppiantati dalla coltivazione su larga scala del solo grano..

La lista è piuttosto lunga: il farro, l’orzo, l’avena, il grano saraceno, la segale, il miglio, il sorgo, il riso in tutte le sue varietà, il mais.

Importante è sottolineare la parola INTEGRALE, in quanto questi chicchi devono essere consumati nella loro integrità, ovvero il seme unito all’involucro di rivestimento e non decorticati o perlati ovvero spogliati di tutte le fibre e vitamine come ci viene regolarmente offerto dall’industria alimentare. Questo non è un piccolo dettaglio, ma qualcosa di fondamentale nel condizionare l’impatto metabolico e quindi salutistico.

Nel gruppo dei cereali sarebbe opportuno tornare a valorizzare i GRANI ANTICHI, ovvero le diverse varietà di grani autoctoni, tipiche dei diversi luoghi, dal oramai riconosciuto valore nutrizionale.

Non tutti sanno, infatti, che non esiste un solo tipo di grano, ma tante varietà, per diverso tempo cadute in disuso e che ora stanno tornando in auge, per esempio il grano Solina o il Saragolla tipico delle zone fredde degli Appennini, il grano del Senator Cappelli pugliese, la Timilia siculo, il Sieve, ecc.

Questo vuol dire che il tipo di farina che mangiava il contadino abruzzese era diverso da quello di un pescatore siculo; c’era una grande biodiversità, che è andata persa a favore della coltivazione dal cosiddetto grano “Creso”, ovvero una varietà ottenuta dall’uomo per soddisfare le proprie esigenze di produzione.

Il pane di un tempo era ottenuto dall’insieme di più farine, quello che c’era a disposizione e spesso si univa alla farina  grezza di grano, la farina di castagne, oppure di legumi cosa questo che rendeva quella fetta di pane un alimento dal valore nutritivo e di impatto metabolico decisamente diverso da quello che è oggi una fetta di pane bianco fatta con farine di grano raffinato e magari provenienti da altri paesi.

QUALI SONO I LEGUMI?

Rischio di sembrare banale, ma non è ridondante chiarire anche questo punto.
I legumi sono i fagioli, i ceci, le lenticchie, i piselli, le fave, i lupini, la soia, le cicerchie,  alimenti da non considerare semplici contorni ma dei veri e propri secondi piatti in quanto tutti fonte di proteine.

E’ la combinazione di un cereale con un legume, la classica pasta e fagioli della nonna di un tempo, a fare la differenza, in quanto fornisce tutti gli amminoacidi essenziali, ovvero quelli che il corpo non riesce a produrre, ma deve assumere direttamente dall’esterno.

Un altro aspetto che vale la pena sottolineare è l’impatto metabolico di un piatto nato dalla combinazione di un cereale integrale con un legume. Il contenuto di fibre rallenta l’ assorbimento degli zuccheri a livello intestinale ed evita l’innalzamento della glicemia postprandiale e la relativa e consequenziale produzione di insulina pancreatica. Dalla gestione di questi parametri, glicemia ed insulina, dipendono gran parte di altre meccanismi, come l’aumento di peso, l’accumulo di adipe, l’infiammazione cronica latente, alterazione del quadro lipidico ematico, l’eubiosi intestinale, la formazione di glicotossine, quindi funzionamento del sistema immunitario, ma anche sistema endocrino e dunque tendenza a patologie di vario tipo da quelle cardiovascolari a quelle tumorali.

QUALI CONDIMENTI USARE?

Un altro componente basilare della dieta mediterranea, ricco di acidi grassi essenziali, in particolare l’acido linoleico e l’acido alfa linolenico in forma cis, polifenoli e vitamina E dalla grandissima azione antiossidante è l’olio extravergine d’oliva.

Noi diamo per scontato l’uso di un alimento così prezioso, cosa invece che per nazioni nordiche è assolutamente un lusso. Ovviamente deve essere estratto esclusivamente tramite spremitura a freddo, con procedimenti meccanici, in cui la temperatura non supera i 30°C, nessun trattamento chimico o di raffinazione e preferibilmente aggiunto a crudo agli alimenti.

QUALE SPAZIO E’ RISERVATO ALLA VERDURE E ALLA FRUTTA FRESCA?

Alla base della piramide alimentare, consumate in abbondanza sono le verdure, che apportano vitamine e minerali ma anche fibre solubili dalla cui fermentazione, si ricavano sostanze ad azione EPIGENETICA, ovvero di modulazione dell’espressione genica.

Un certo spazio spetta anche alla frutta fresca  ricca di vitamine, minerali e tutta una serie di sostanze (i flavonoidi, i polifenoli, gli antocianosidi ecc) ad azione antiossidante, di contrasto ai radicali liberi

E LA FRUTTA SECCA E I SEMI OLEAGINOSI?

Questi erano i cibi che avevano a disposizione i contadini del meridione e di cui facevano un uso secondo la stagionalità e secondo quanto Madre Natura aveva da offrire e senza saperlo, apportavano elementi nutritivi dalle molteplici proprietà.

La frutta secca come nocciole, noci, pistacchi, mandorle, sono alimenti ricchi di grassi insaturi, vitamine e minerali. Esempio sono gli omega 3 contenuti nelle noci oppure il magnesio di cui sono ricche le mandorle. Lo stesso dicasi per i semi oleaginosi, come quelli di girasole, papavero, sesamo, lino, che possono impreziosire i nostri piatti, rendendoli più gustosi e migliorando il valore nutritivo.

Alcuni alimenti erano basilari nella tradizione culinaria italiana, tipo le castagne o le carrube. Le castagne erano considerate il pane dei poveri, o le carrube cadute oramai in disuso, erano il “cioccolato” dei nostri nonni o bisnonni. Sono questi alimenti ricchi di carboidrati a lento rilascio e ricchi di fibre ( i MAC carboidrati accessibili al microbiota) e quindi di fondamentale importanza per mantenere sana la flora batterica intestinale con evidenti effetti benefici sul sistema immunitario e non solo.

CHE RUOLO ASPETTAVA AL PESCE?

Da alcuni studi è emerso che una delle migliori diete sia quella pesco-vegetariana, ovvero una dieta mediterranea dove è presente il pesce soprattutto quello “azzurro” come sgombro, sardine, alici più volte nella settimana. In realtà il binomio pesce e dieta mediterranea è inscindibile per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche, tant’è che il pesce viene considerato “l’oro azzurro” del Mediterraneo.

E’ a tutti noto il valore nutrizionale del pesce, per le proteine dall’alto valore biologico, omega3, sali minerali ecc, quello che invece purtroppo sfugge è la netta differenza che può esserci tra un pesce pescato ed quello di allevamento. In questo secondo caso, oltre al problema dell’uso massiccio di antibiotici e farmaci vari, il profilo nutritivo del pesce nel nostro piatto, finisce per essere totalmente diverso da quello di un pesce pescato.

HANNO UN RUOLO LE ERBE AROMATICHE E LE SPEZIE?

Andrebbe decisamente riscoperto il valore culinario delle erbe aromatiche e delle spezie  che erano centrali nell’insaporire i vari piatti della dieta mediterranea, consentendo, inoltre, una riduzione nell’apporto di sale. Abbiamo l’origano, il prezzemolo, la salvia, il rosmarino, il basilico, l’alloro, la maggiorana, il cumino, il coriandolo, la menta, l’erba cipollina, il timo ecc ecc; tutte erbe dall’odore inebriante grazie all’alto contenuto di oli essenziali e dalle innumerevoli proprietà.

Tra le spezie tra le più utilizzate figura lo zafferano, il cumino, la cannella, il pepe, il peperoncino.

CHE POSTO SPETTA ALLA CARNE E AI FORMAGGI?

Per quel che concerne i derivati animali tipo la carne, formaggi o uova  sono alimenti che dovrebbero essere consumati raramente; non è un caso che nella dieta mediterranea di una volta erano gli alimenti delle grandi ricorrenze.

EVIDENZE SCIENTIFICHE DELLA DIETA MEDITERRANEA

Un alimentazione ricca di verdure, cereali integrali, legumi, frutta secca, semi oleaginosi fornisce un alto quantitativo di fibre ed è stato dimostrato da diversi studi scientifici che più elevato è il consumo di fibre vegetali più basso è il rischio di morire precocemente a parità di età e di altri fattori di rischio.

La dieta mediterranea fornisce gli adeguati quantitativi di MAC, carboidrati accessibili al microbiota, ovvero fibre che arrivando inalterate nel colon fanno da nutrimento dei batteri simbiotici, consentendo loro di operare in modo ottimale. E’ un dato oramai riconosciuto scientificamente, infatti, che senza il microbiota intestinale l’individuo non potrebbe disporre di un sistema immunitario maturo ed efficiente, in quanto esistono sofisticati meccanismi di interazione e dialogo continuo tra batteri simbiotici, cellule del sistema immunitario e cellule epiteliali intestinali. La digestione di fibre vegetali da parte della flora batterica intestinale  produce come metaboliti “acidi grassi a catena corta”, che legandosi a cellule del sistema immunitario sopprimono l’infiammazione e aumentano i linfociti T regolatori che ci proteggono dalle malattie allergiche e autoimmunitarie.

La dieta mediterranea è associata ad una forte riduzione dei marker dell’infiammazione come  proteina C reattiva, interleuchina-6, la molecola di adesione intracellulare-1, è infatti considerata una dieta antinfiammatoria.

 La dieta mediterranea consente un adeguato mantenimento degli equilibri ormonali. Ogni volta che mangiamo, il sangue e l’intero organismo vanno incontro a profonde modifiche metaboliche e ormonali, responsabili del nostro stato di salute, benessere funzionale ed estetico, ad ogni età. Quando i nostri sistemi metabolici non riescono a rispondere agli atti alimentari nei giusti tempi biologici, il corpo inizia la fase di decadenza funzionale che porta alla patologia.

Occorre, dunque, gestire con attenzione le continue oscillazione glicemiche, lipemiche e amminoacidi  post-prandiale, non solo per mantenere un sano peso corporeo, ma per prevenire patologie croniche e degenerative.

Il picco glicemico post prandiale può essere considerato una delle principali cause di sovrappeso e obesità perché genera una risposta insulinemica che agendo direttamente sugli adipociti, favorisce l’accumulo in essi di trigliceridi alimentari e aumento di massa grassa e del peso corporeo. Da questo mancato controllo del picco glicemico e accumulo di adipe scaturirebbero problemi come sovrappeso, obesità, diabete di tipo2, steatosi epatica, ipertensione arteriosa, aterosclerosi. Sappiamo oramai da tempo che il tessuto adiposo non è inerte, ma è un tessuto metabolicamente attivo che produce citochine infiammatorie, alimenta dunque una infiammazione cronica latente, preludio a patologie croniche degenerative, comprese malattie neurodegenerative con declino cognitivo  come l’ Alzheimer.La dieta mediterranea è considerata l’unica dieta neuroprotettiva

La dieta mediterranea porta ad un aumento dell’ormone“adiponectina” un ormone che riduce infiammazione, riduce accumulo di grasso nel fegato, favorisce l’utilizzo dell’energia da parte dei muscoli e migliora funzione endoteliale e dell’elasticità delle arterie. Questo suggerisce il grosso ruolo di tale dieta nella prevenzione di patologie tipo diabete di tipo 2 o patologie coronariche.

Una caratteristica comune dei cereali integrali, legumi, semi oleaginosi e verdure è proprio quella di contribuire a un basso carico glicemico della dieta.

Fin dal 2002  gli scienziati osservarono la correlazione esistente tra glicemia alta e insorgenza di cancro, ma allora il mondo oncologico non prestò particolare attenzione; oggi è risaputo che è necessario contenere gli sbalzi della glicemia e dell’insulina limitando l’assunzione di cibi ad alto indice e carico glicemico.

Molti studi, infatti, suggeriscono che consumare una dieta mediterranea riduce anche il rischio di tumore dell’intestino, del fegato, dello stomaco, e apparato respiratorio, protezioni più modeste per tumore prostata e mammella. Le raccomandazioni del codice europeo contro il cancro coincidono sostanzialmente con la dieta mediterranea tradizionale.

LA DIETA MEDITERRANEA come modello di sostenibilità economica, ambientale e sociale

La dieta mediterranea oltre ad essere un modello nutrizionale equilibrato, è uno dei regimi alimentari più sostenibile a livello globale.

Le diete sostenibili sono diete a basso impatto ambientale, in quanto concorrono alla protezione e al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, inoltre sono accettabili culturalmente ed economicamente accessibili.

Dopo la seconda guerra mondiale, i cambiamenti di stile alimentare sono stati fortemente influenzati dalle dinamiche evolutive dell’industria alimentare e delle grandi imprese del settore agroalimentare. Si è affermata un’agricoltura intensiva, ancorata all’uso dei prodotti chimici di sintesi, al trasporto di prodotti a lunga distanza e all’uso di manodopera a basso costo. Si è diffuso, dunque, un sistema alimentare responsabile di emissioni di gas serra elevate e responsabile della perdita di biodiversità, di fenomeni di deforestazione, carenza idrica ed inquinamento di falde acquifere.

Risale al 1987 la pubblicazione del “rapporto Bruteland” in cui si sottolinea la necessità di un nuovo sviluppo sostenibile, “uno sviluppo che soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere i bisogni delle generazioni future”.

Nel 1992 segue la Conferenza ONU su “Ambiente e sviluppo” a Rio De Janero, in cui 178 paesi sanciscono la necessità di andare verso una economia ecologica, per la lotta ai cambiamenti climatici.

 Dopo trent’anni dai primi timidi tentativi di presa di coscienza, oggi viene ribadito sempre più la necessità di affermare regimi dietetici sostenibili sia in paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo,e dunque, torna l’attenzione alla dieta mediterranea.

La dieta mediterranea presenta dei vantaggi che travalicano i soli aspetti nutrizional, infatti, favorisce l’interazione sociale attraverso la condivisione dei pasti, valorizzando tradizioni culturali ma soprattutto, è una dieta che ha un basso impatto ambientale, grazie al consumo limitato di prodotti animali.

Tenendo conto di tutte le fasi che vanno dalla produzione fino al consumo (from farm to folk), per i prodotti come carne bovina, suina, ovina ma anche formaggi e pesce si calcolano un maggior valore di impronta ecologica, idrica e carbonica.

L’impronta ecologica misura la superficie terrestre o marina necessaria a produrre gli alimenti che l’uomo consuma o a metabolizzare i rifiuti che produce; tiene conto del terreno agricolo necessario a produrre cereali, frutta, verdura ma anche tabacco e cotone, del terreno destinato al pascolo di animali dai quali ricavare carne, latte o lana, e la superficie acquatica necessaria alla produzione di risorse ittiche.

L’impronta carbonica è la quantità di anidride carbonica emessa durante tutto il ciclo di vita del prodotto espressa in KG o L di alimento.

L’impronta idrica rappresenta il consumo di acqua impiegato per realizzare un certo prodotto.

La carne bovina, ad esempio, presenta valori molto alti degli indici menzionati, al contrario la produzione di legumi, cereali, frutta e verdura richiede un minor impegno di risorse naturali e comporta emissioni di gas serra meno intensive.

Sostituire giornalmente la carne, soprattutto quella rossa, con i legumi in linea con quanto affermato dalla dieta mediterranea, significa impattare meno sull’ambiente, consentendo alle aziende di realizzare una politica delle “3P,” attenta al profitto ( profit), ma anche alle persone ( people) e al pianeta ( planet).

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