Nel decalogo anticancro emanato dall’OMS, ovvero l’ente che ha come obiettivo il raggiungimento del livello più alto possibile di salute, intesa come condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto come assenza di malattia, è riportato:
LIMITARE IL CONSUMO DI CARNI ROSSE E EVITARE QUELLE CONSERVATE
Precisiamo che per ” carni rosse ” si intendono quelle di animali come manzo, maiale, agnello e capretto; il colore rosso è dato dalla presenza nei tessuti di emoglobina e mioglobina, entrambi contenti il gruppo eme con al centro l’atomo di ferro.
La carne lavorata e conservata , invece, include i salumi, le carni in scatola, sottosale oppure affumicate.
Le carni rosse, nella classificazione dello IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) sono inserite nella classe 2A mentre le carni conservate nella classe 1; quindi se per le prime ci sono sufficienti evidenze solo sugli animali di laboratorio, per le seconde ci sono precise evidenze di cancerogenicità anche sull’uomo. In particolare esiste una monografia sulle carni rosse lavorate pubblicata nel 2018 basata sulla revisione di oltre 800 studi.
Le carni “ lavorate” vuol dire che vengono sottoposte a diversi processi come l’essicazione, la salatura o affumicatura e conservate con additivi vari. Gli additivi sono sostanze aggiunte agli alimenti per preservarli dalla contaminazioni microbiche, dall’irrancidimento e per migliorare l’aspetto e consistenza; sono una grande quantità di sostanze diverse, alcune delle quali innocue come vitamine, altri come i nitriti, subiscono una trasformazione chimica in nitrosammine, responsabili dell’effetto cancerogeno.
Un consumo eccessivo e prolungato di nitriti è associato ad un aumento del rischio di tumori del colon retto ma anche dello stomaco e dell’esofago.
Se questo vale per le carni lavorate, per quelle rosse fresche, le cose non vanno meglio. Diversi studi, infatti, dimostrano che il gruppo eme in esse presente, stimola nell’intestino la produzione di sostanze cancerogene e provoca infiammazione; se l’infiammazione è prolungata nel tempo aumenta la probabilità di sviluppare il tumore al colon retto, la neoplasia più diffusa nei paesi industrializzati.
Per quel che riguarda l’insorgenza del cancro è chiamata in causa anche l’aumento dell’ IGF1 fattore di crescita insulino-simile, dovuto ad un eccesivo consumo di proteine animali. Questo fattore controlla, infatti, i tempi di crescita delle cellule, e può favorire la nascita e la crescita incontrollata di nuove cellule oltre che inibire la rimozione delle vecchie.
Al di là della problematica legata alla possibile induzione di neoplasie, altre motivazioni sembrerebbero indirizzare verso un consumo ridotto di carni.
Il nostro intestino lungo 7 metri, comporta, diversamente da quello di un carnivoro, tempi di permanenza per l’alimento troppo lunghi, cosa che può favorire processi putrefattivi a livello colico, portando ad un incrementando di Clostridi, Coliformi, Proteus, favorendo quindi la”disbiosi” intestinale. La disbiosi porta ad infiammazione cronica latente, anticamera di molte altre problematiche.
I batteri intestinali usano le grandi quantità di colina e L carnitina, derivanti dalla carne per sintetizzare un metabolita la trimetilammina TMA che viene poi ossidata nel fegato a TMAO, che a sua volta finisce nel sangue. Alti livelli di TMAO favoriscono l’aggregazione piastrinica, incrementando di 20% il rischio di avere un infarto o un ictus cerebrale.
Vale la pena ricordare che l’assorbimento intestinale degli amminoacidi, elementi costitutivi delle proteine e dunque della carne, avviene grazie ad un meccanismo di co-trasporto con il sodio; questo significa che se assorbiamo amminoacidi incrementiamo parallelamente anche l’introduzione di sodio, con l’inevitabile conseguenze sul sistema cardiovascolare e sui reni, chiamati a svolgere un lavoro maggiore.
I grassi saturi della carne comportano un aumento inevitabile di colesterolo ematico e insieme alla disbiosi e all’infiammazione latente può portare alla formazione di placche sui vasi, ostruzione, trombi, ictus e infarti.
La carne sono proteine, la cui digestione inizia nello stomaco, è grazie alla acidità gastrica che avviene la scissione delle proteine nei singoli amminoacidi costituenti. Mangiare troppa carne significa stimolare nel tempo lo stomaco a produrre più succhi gastrici, e quindi possibile correlazione con problematiche assai diffuse nella popolazione come bruciori gastrici, reflusso gastro-esofageo ecc.
Alla luce di quanto detto, il mito della bistecca nei piatti che per anni ha rappresentato simbolo di benessere economico e quindi di salute, va necessariamente scardinato, in quanto la massiccia e continua introduzione di carne rossa e’ controproducente per il nostro stesso benessere.