Ippocrate, definito padre della Medicina, già 2500 anni fa, si era accorto che essere in sovrappeso o obesi fosse un problema grosso per la salute, ma solo nel 1560 l’obesità è stata riconosciuta come malattia e solo ad inizio secolo è iniziato lo studio della fisiopatologia.

 Il primo libro con indicazioni dietetiche risale nel diciannovesimo secolo ed è del 1994 la scoperta della leptina, un ormone responsabile del senso di sazietà carente negli obesi.

Oggi in base al BMI  indice di massa corporea) distinguiamo tre categorie di persone, per cui con un BMI tra i 25-30 parliamo di sovrappeso, mentre da 30-40 abbiamo gli obesi di primo e secondo grado, mentre sopra i 40, il terzo grado di obesità.

Un dato certo e preoccupante è  l’incremento delle persone affette da questo problema, oggi si contano  2,3 miliardi di persone al mondo, in particolare 3 adulti su 10 è in sovrappeso e 1 adulto su 10 è obeso.

Parliamo di i 650 milioni obesi, un dato assai allarmante visto che l’obesità da sola è la causa di quasi 5 milioni di decessi.

InItalia 1 persona su 10 è obesa,( 1 su 10 a Bolzano e 1 su 5 in Basilicata)  ovvero 5 milioni di adulti con un impatto considerevole sui diversi ambiti dell’assistenza sanitaria  in quanto  il sovrappeso e l’ obesità sono responsabili di circa l’80% dei casi di diabete 2, del 55% di ipertensione e del 35% di cardiopatia  ischemica; questo si traduce in  1 milione di morti l’anno e 12 milioni di malati l’anno.

Un dato molto allarmante è poi l’aumento spropositato del numero dei bambini ed adolescenti in sovrappeso e obesi, e affetti da patologie correlate come diabete 2 ma anche steatosi epatica non alcolica.

Pur riconoscendo alla genetica una parte delle responsabilità dell’insorgenza di queste problematiche, in realtà oggi si sta facendo sempre più strada l’importanza dell’ epigenetica  e dunque dell’importanza dello stile di vita come azione di prevenzione, dal momento che alimentazione, movimento e altre varianti possono essere determinanti per espressione di determinati geni e dunque condizionare l’insorgenza di determinate malattie.

Chiaramente nell’approccio al problema del sovrappeso e dell’obesità è di primaria importanza la dieta, e se negli 80 abbiamo avuto il massimo degli studi contro i grassi e il colesterolo, in realtà, adesso  si è concordi che ridurli troppo  porta ad insuccessi terapeutici, in quanto  i grassi sono importanti per indurre il senso di sazietà.  Le diete ipocaloriche pur dando alcuni risultati, sono difficile da seguire a lungo termine, mentre  mantengono una certa validità le diete a basso indice glicemico. Accanto  al controllo degli zuccheri deve esserci un adeguato controllo dell’apporto proteico, in quanto anche un eccesso di proteine animali fa ingrassare, attualmente il 15% delle calorie provengono dalle proteine , ne basterebbero l’8% al massimo il 10%, nelle diete iperproteiche si arriva al 50%. Ad ogni modo il quantitativo proteico deve essere adeguatamente bilanciato in quanto è necessario dimagrire, mantenendo una buona massa muscolare, questo  chiaramente presuppone un incremento dell’attività fisica.

La dieta mediterranea originale, ricca di cereali integrali, legumi, verdura e frutta (non la continua assunzione di pasta, pane, pizza) ha mostrato degli enormi vantaggi, soprattutto nei diabeti dove ha consentito una perdita di peso maggiore rispetto ad una dieta a basso contenuto di grassi.

In un altro studio clinico randomizzato durato 18 mesi, che ha coinvolto pazienti  di 50 anni con adiposità addominale, dislipidemia, IBM medio 32,3 Kg, e staetosi epatica non alcolica, la dieta mediterranea, limitata nell’assunzione di carne rossa o lavorata e arricchita con te verde, noci e mankai ( in particolare 28g al dì di noci corrispondenti a 440mg di polifenoli) unitamente d una attività fisica quotidiana, raddoppia la perdita di grasso intraepatico  rispetto ad altre strategie nutrizionali e consente  un miglioramento dei biomarcatori sierici di folati e adinopectine e aumento della biodiversità del microbioma.

La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) è una condizione che colpisce il 25% della popolazione mondiale ed è associata ad enzimi epatici elevati, resistenza insulinica, diabete2, e aumento del rischio cardiovascolare e disbiosi.

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